Grandi opere, riforma fiscale, giustizia rapida, stato digitale, scuola moderna. Ecco l'Italia del 2010 garantita agli elettori (gonzi) da Berlusconi. E mai realizzata
(di Marco Damilano e Denise Pardo - l'Espresso)
Ponti, strade, porti e faraonici tunnel verso l'Europa. Uno Stato leggero, iper tecnologico, digitale. Un Parlamento finalmente snello. Una giustizia rapida con le norme riscritte da capo. E poi il Piano per il Sud, e soprattutto, la realizzazione dello slogan della vittoria, il lasciapassare per la Storia, la Rivoluzione Liberale. Via le tasse e, signore e signori, un Codice Fiscale Unico al posto di 3 mila leggi. Dopo Giustiniano e Napoleone, il Codex Berlusconi, uomo sobrio, cortese, animo bucolico e agreste.
Italia 2010, il paese che non c'è. Il paese dei sogni? No, il paese di Silvio. Quello che aveva garantito nel 2001 con il libro spedito alla vigilia della campagna elettorale nelle case degli italiani per presentare lo Stato che avrebbe costruito in dieci anni, a immagine e somiglianza della sua vita e della sua vis. Ben più che un programma, un album di famiglia, una tavola delle leggi, la proiezione di quello che sarebbe diventata l'Italia sotto la sua guida.
Il titolo, indimenticabile, "Una Storia Italiana". Dieci anni dopo, il Decennio si rivela per quello che è, una storia all'italiana: biografie candeggiate, promesse mirabolanti, progetti grandiosi. Tutto ancora da fare. "Prima della fine della legislatura arriveremo a un codice unico di norme fiscali", annuncia con l'aria di chi ne ha inventata una clamorosa il 9 giugno alla Confartigianato. Platea di personcine davvero educate o un bel po' smemorate. Infatti, la stessa scena si era ripetuta nello stesso posto due anni prima, e forse due anni prima ancora. Di certo era una delle cinque grandi missioni per cambiare il Paese. "Ecco l'Italia nuova, il progetto della Casa delle libertà, l'Italia del 2010", annunciava il cahier berlusconiano nella primavera 2001, quando Obama era solo un avvocato di Chicago, un caffè costava 800 lire e le Twin Towers erano ancora al loro posto. Invece del mondo nuovo, resta un diluvio di leggi ad personam, nessuna grande opera, solo se si escludono lifting e trapianti di capelli.
Per tutti gli altri gli anni sono passati (invano), lui si comporta come se fosse sempre ai blocchi di partenza, come se fosse l'Anno Zero di Silvio. Nel 2000 aveva decretato: via l'Irap, "che io chiamo imposta rapina". Al massimo due aliquote, una al 23 e una al 33, poi esenzione totale per famiglie con redditi bassi. Fatto e stampato. Ma qualcosa deve essere andato storto. Perché due mesi fa, il Presidente Annunciatore ha preso un altro impegno solenne: "La prima cosa che faremo sarà pensare alle famiglie numerose". E la seconda? Indovinate: via l'imposta rapina. Peccato che, ha fatto sapere Giulio Tremonti, costi almeno 40 miliardi di euro e serva a finanziare la sanità. Un dettaglio per il Cavaliere: quando andrà al governo, allora sì che vi farà vedere come si fa. Nell'attesa, le due aliquote sono rimaste nel libro dei sogni: "Le faremo entro la fine della legislatura", ha ribadito il 27 marzo, "come da me immaginato nel '94".
Il Cazzaro di Arcore
Appunto, l'immaginazione al potere. "Meno tasse uguale più investimenti uguale meno disoccupazione uguale più ricchezza", recitava a inizio decennio. Al termine del decennio l'equazione è esattamente invertita: più disoccupazione, meno investimenti e la pressione fiscale in aumento: nel 2009 è salita al 43,2, tre punti sopra la media europea, "caso unico tra le grandi economie", sottolinea perfino il compassato Istat. Beh, almeno un record è stato raggiunto.
Grandi opere nel 2000? Grandi opere nel 2010. Le stesse. Per forza, non sono state mai fatte. Eh sì che non si è mica stati con le mani in mano. Prendiamo la grande opera per eccellenza, il Ponte sullo Stretto di Messina: "I lavori sono già partiti con puntualità", ha dichiarato orgoglioso il ministro Altero Matteoli, otto anni dopo il primo decreto. Peccato che non sia vero, il cantiere non è stato ancora aperto, si comincia solo a lavorare, forse, sulla linea ferroviaria di Cannitello. A furia di annunci, il ponte è diventato la cattedrale al governo del non fare. Come la Salerno - Reggio Calabria: il Dpef 2002 del governo Berlusconi giurava che l'ampliamento sarebbe terminato nel 2006, in tempo per le elezioni. Ora si punta al 2013: altro anno elettorale. Il Mose di Venezia: prima pietra nel 2003, ora a fatica a metà strada avendo già consumato quasi tutto lo stanziamento: 3,2 miliardi di euro già spesi su 4,2. La sola infrastruttura portata a termine è l'ampliamento by Anemone del patrimonio immobiliare dell'ex ministro Pietro Lunardi, l'uomo dei tunnel. Un professionista delle ristrutturazioni: le sue.
In sala d'attesa anche il Meridione. "Attuazione del Piano per il Sud, chiave di volta dello sviluppo nazionale", proclamava Silvio nel programmone. Per nove anni non se n'è saputo più nulla. Si è via via trasformato in una svaporata Banca per il Mezzogiorno e in una cabina di regia per i fondi europei. Poi, nell'estate 2009, la bomba: "Il piano è pronto". Decennale, ancora una volta: da qui al 2020, il rinascimento meridionale è assicurato. A dare il definitivo annuncio, il ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola: "Il Piano Berlusconi sarà pronto entro poche settimane", avvisa a metà 2009. "Entro la fine dell'anno", corregge a settembre. "Entro l'estate", ritorna sul luogo del delitto il 28 aprile. Le ultime parole: due giorni dopo si è dimesso da ministro.
Italia 2010: nessuna "rivoluzione copernicana" all'orizzonte. Non si può dire lo stesso di Silvio 2010. O dieci anni fa non l'hanno raccontata tutta. Oppure quest'uomo è cambiato. Nel 2001 vagheggiava sui libri de chevet come "il Disprezzo del mondo" di Erasmo da Rotterdam, "Lo spaccio della bestia trionfante" di Giordano Bruno e i Mistici (sì, i mistici!) medievali: proprio il genere di testi da palinsesto del Biscione. La settimana scorsa a Parigi, ha rivelato la nuova fonte di ispirazione: "La sera leggo i Diari di Mussolini". Questa volta, il testo lo sta assorbendo bene. Dieci anni fa, indicava il trio di intellettuali di riferimento: Giuliano Ferrara, Paolo Guzzanti e Ferdinando Adornato (neanche una riga invece su Bossi, Fini e Casini). Oggi l'Elefantino si annoia. Adornato è finito nell'Udc, disperso, in quel mondo che definiva di "uomini cinici senza qualità". Guzzanti è un fiume in piena contro "il priapismo e cesarismo di Brianza". Al loro posto il professore di chiara fama Gaetano Quagliariello, il martire occidentale Renato Farina e, in primis, l'estensore materiale della Storia italiana: da coordinatore redazionale a ministro della Cultura, la corroborante parabola di Sandro Bondi. Ecco uno che in questi dieci anni ha svoltato, dopo aver cantato il culto per la famiglia e la dedizione del Cavaliere verso i suoi cari, Veronica, figli di primo e di secondo letto:" Adora fare il marito e il papà, autentici momenti di felicità" strappati "al lavoro alla scrivania fino alle due e mezzo".
Eh, lavoro. Scrivania. Il paese non è cambiato, ma le notti del condottiero di Arcore si sono vivacizzate: spettacolini, farfalline, abitini, letterine, meteorine. E lettoni, però. Dalla foto di gruppo esce Veronica, passa Noemi, entra Patrizia D'Addario, spuntano nel Pdl fisioterapiste, infermiere, igieniste dentali, e ora, in via del divorzio numero due, chi lo tiene? In Abruzzo, educato: "Posso palpare la signora?". Il 2 giugno, a fianco di Giorgio Napolitano, manca poco che fischi come un marinaio che non tocca terra da mesi e che salti la barriera vip in preda a un virile e molto gesticolante entusiasmo al passaggio di una avvenente crocerossina. A Sofia: "Da quando sono scapolo ho la fila dietro la porta". Chissà i prossimi dieci anni, una storia italiana cosa riserva.
Manca all'appello qualcosa? Lo Stato on line, ancora in stand by. La scuola delle tre I, Inglese, Internet, Impresa, difficile da attuare con 25 mila docenti, post cura Gelmini, senza cattedra da settembre. Sbandierava risorse per le forze dell'ordine, "da dotare di mezzi e tecnologie", nel 2001, ma sulla Finanziaria 2009 perfino il ministro Roberto Maroni si schierò con i poliziotti senza stipendi e benzina. E la Grande Riforma Istituzionale: "Attribuzione ai cittadini del diritto di scegliere i governanti!", promise Silvio dieci anni fa, e invece è arrivato il Porcellum e quel poco che si poteva scegliere, con le liste bloccate è bello che andato. E "il dimezzamento del numero dei parlamentari". Mai avviato, peggio che posare la prima pietra a Messina.
Il meglio di sé il Cavaliere in questi dieci anni l'ha dato su giustizia e informazione. Nuovo codice penale, nuovo codice civile, riforma della giustizia, 39 leggi ad personam sbandierava al punto di partenza. E qualche giorno fa, il ministro Angelino Alfano non si è fatto cogliere impreparato: "La riforma della Giustizia? A settembre si fa, sono pronto". E ci mancherebbe, dopo solo dieci anni che ne parlano. Molto più rapidi i berluscones si sono rivelati nella giustizia creativa quando in ballo c'è il corpo del capo, anzi del reato: che spaziano dal legittimo impedimento alle Cirami-Cirielli-Schifani-Alfano, dalla Gasparri all'ultimo ddl sulle intercettazioni. Il ddl sulla corruzione? Insabbiato: eppure era l'unico che serviva davvero, visto il prosperare del ramo corruttori & concussori, certificata dalla Corte dei conti: corruzione più 229 per %, concussione più 153 nell'ultimo anno. Finalmente, un settore del fare.
Libertà di opinione e di espressione, predicava allora. Nell'Italia 2010, l'obiettivo si è trasformato nel bavaglio all'informazione, e nella minaccia di non firmare, lui proprietario di Mediaset diventato con l'interim dello Sviluppo Economico, anche ministro della televisione, il contratto di servizio con la Rai troppo faziosa ("Era una battuta", si sono affrettati a comunicare da Palazzo Chigi). Nonostante lo sbarco a viale Mazzini, di uomini di totale fiducia, dal dg Mauro Masi a quello del Tg1 Augusto Minzolini. "La libertà è come una corda tesa che non si spezza d'un colpo, ma si allenta, si infeltrisce, diventa infine libertà condizionata, libertà che non c'è più". E su questo, ce la mette tutta per non deludere. "Il nostro è un partito dei valori e dei programmi", sosteneva, "il contrario dei vecchi partiti che considerano il programma carta straccia". Lui no, se ne guarda bene. Non mettendolo mai in pratica, torna sempre utile. E sempre come nuovo.